di Pietro Rivasi*
In una recente intervista, lo stimato e potente gallerista Emilio Mazzoli ricorda come nel 1981 un giovanissimo Jean-Michel Basquiat, in Italia per la sua prima mostra, si vide rifiutare un muro di cemento nella periferia di Modena: l’amministrazione non capì che avvallare quell’intervento, che all’epoca si sarebbe rivelato innovativo e di rottura, nel giro di pochi anni avrebbe permesso alla città di potersi fregiare di un’opera pubblica di un grande artista.
Pisa è stata più lungimirante: oltre ad ospitare capolavori assoluti dell’arte medievale, è la madrina di alcuni tra i primi e più importanti eventi legati all’arte di strada: qui si trova infatti “Tuttomondo“, un’opera di Keith Haring del 1989, il suo murale più grande tuttora esistente, ed è qui che nel 1996 è stata realizzata la prima edizione di “Panico Totale“, un evento seminale per il writing italiano dal quale sarebbero poi emersi numerosi talenti e che ha ospitato alcuni tra i più importanti writer e street artist del mondo come Phase II, Daim, Joys e SatOne.
Oggi l’arte urbana sta indiscutibilmente vivendo la sua età dell’oro: dalla Russia al Brasile, dal Sud Africa alla Corea, passando chiaramente per gli Stati Uniti e l’Europa, non c’è nazione nella quale i media non siano invasi da notizie relative all’ultima opera lasciata in strada da Banksy o all’ultimo graffiante murale di Blu.
Il web – sempre più deputato a mezzo universale di informazione e comunicazione – diffonde in tempo reale immagini di opere che spesso sono destinate a vivere per brevi periodi. Nel frattempo, stanno nascendo nuovi servizi per il turismo che permettono agli appassionati di vedere dal vivo e di immortalare queste opere prima che spariscano (“street art tour“), creando nuove occasioni economiche per le città che le ospitano. In alcuni casi, vere e proprie “mappe dell’arte urbana” vengono realizzate con il patrocinio dei comuni interessati.
Anche l’interesse delle istituzioni e dei collezionisti è in crescita costante: la necessità di dialogare con le nuove generazioni e le sottoculture che le rappresentano (di cui spesso writing e arte urbana sono espressione tangibile e visibile), così come la volontà di riqualificare o rigenerare porzioni di territorio, spingono la cultura ufficiale e gli investitori a contatto con una forma d’arte che ha comunque più di 40 anni di storia e che ormai è entrata a pieno titolo nei musei e nei corsi universitari.
I tempi sono dunque maturi perché questa tradizione – che dal 1989 ad oggi è stata mantenuta viva grazie alla passione e al talento di alcuni artisti e curatori – abbia la possibilità di esplodere in tutta la sua dirompenza e di arricchire la proposta culturale della città. Sia per rendere in termini economici, eventualmente, che per premiare l’intelligenza politica che ha saputo cogliere nelle “cose preziose” già presenti sui muri di Pisa e nel sostegno alla realizzazione di nuovi interventi, una strada che conduce alla contemporaneità.
From here to fame
Nel gergo dei writer, le hall of fame sono pareti sulle quali è consentito dipingere, “palestre” dove comporre opere complesse o semplicemente affinare le proprie abilità, trovandosi con gli amici a realizzare qualcosa di creativo. Questi spazi non hanno solo una funzione culturale, ma anche sociale, perché sono al tempo stesso laboratorio artistico e punto di aggregazione, fornendo ai writer ancora inesperti la possibilità di entrare in contatto con gli artisti più navigati, che a loro volta trasmettono un sapere e un codice di comportamento. Le hall of fame rappresentano quindi l’alternativa più organica alla proliferazione degli sfoghi meno consapevoli che osserviamo sui muri delle nostre città, ma ciò nonostante è raro che gli uffici pubblici si dispongano a concederle. Da un lato la repressione assicura un consenso molto più immediato, dall’altro la burocrazia non tiene il passo dei mutamenti sociali, imponendo al fenomeno dei “graffiti metropolitani” uno slittamento nella sfera dell’ordine pubblico. Oppure, nel migliore dei casi, anche quando ottiene una legittimità occasionale e temporanea, l’iniziativa dei writer viene subordinata alla mediazione formale di un’associazione o di un circolo, che ne snaturano il significato. Al contrario, con il progetto Indoor Outdoor la città di Pisa ha deciso di riservare alcune pareti all’uso di hall of fame completamente libere, dove chiunque potrà realizzare le sue opere senza affiliazioni di alcun tipo e per un tempo indeterminato. Si tratta di una scelta coraggiosa, lungimirante e unica in Italia, di un approccio innovativo che sancisce la nascita di incubatori “outdoor” per nuovi talenti, garantendo contemporaneamente il rispetto dei principi fondamentali dell’arte urbana (tutti possono esprimersi liberamente) e la tutela delle infrastrutture che si vogliono preservare, assicurando alla città un maggiore decoro.
Un cerchio che si chiude
L’arte pubblica è una macro-categoria che comprende statue, fontane, murales ma anche quella che su tutti i giornali è normalmente chiamata “arte urbana”, che a sua volta raggruppa writing, sticker, stencil e tutto ciò viene applicato più o meno legalmente alle infrastrutture della città.
Indoor Outdoor racconta una storia più attuale, racconta quello che può essere definito post graffitismo, ovvero l’evoluzione di artisti che, nati e maturati come writer, hanno sviluppato sensibilità e necessità espressive tali per cui il solo lettering applicato alle infrastrutture è diventato – col tempo – incapace di raccontarli in pieno, spingendoli verso poetiche nuove.
ma che si completa con l’ingresso nelle gallerie d’arte, deputate ad aggiungere possibilità e libertà agli artisti e a fornire ciò che la strada da sola, in qualche modo, non è più in grado di garantire.
INDOOR OUTDOOR
La mostra
Dal 13 Giugno al 13 Luglio al Centro SMS
Le opere, tanto quelle realizzate outdoor quanto quelle pensate per essere viste indoor, risultano frutto della forma mentis plasmata dal writing, vero valore aggiunto di questo movimento artistico. La differenza viene determinata dall’adattamento alle differenti condizioni che la strada e la galleria mettono a disposizione, le diverse possibilità materiali. Sarà quindi interessante assistere al modo in cui gli artisti si rapportano a un grande muro, alla tela o a una carta di dimensioni anche molto ridotte: la differenza nelle tecniche, l’approccio coi dettagli e le variazioni relative al rapporto tra le opere e il contesto.
Fondatore di “Icone”, festival internazionale di arte urbana, e socio di D406 – Fedeli alla linea, galleria d’arte contemporanea, Modena
Qui racconta: “I/O Gli artisti urbani in mostra”