Gelsomina, con questo suo nome tutto particolare, è una adolescente sui generis, fa parte di una famiglia un po’ freak che vive in un rudere sperso nella campagna umbra, affacciata sul bellissimo lago di Bolsena.
Si parla tre lingue in famiglia: italiano, francese e tedesco; si vive alla giornata, in condizioni precarie, ma c’è una collaborazione fortissima. Le sorelle di Gelsomina – Marinella, Caterina e Luna – hanno il privilegio di “non lavorare” ancora nell’azienda rigorosamente a conduzione familiare. Si produce cibo per la sopravvivenza – la pommarola fatta in casa, il succo di frutta, le marmellate – ma anche dell’ottimo miele per la vendita. Gelsomina è una ragazzina forte e determinata, chiusa in questo suo ruolo di bambina-lavoratrice, e noi spettatori mica riusciamo a capire se sia giusto o meno, sembra felice ma è ancora piccola e il suo tempo potrebbe passarlo divertendosi nella spensieratezza dei suoi 14 anni.
Il padre di Gelsomina è un uomo duro, a tratti rude, che impartisce ordini e alza la voce. Le bimbe vivono in un clima di tensione continua, accentuata dal conflitto esplicito che il padre vive con Cocò, una “zia” che si è aggiunta alla famiglia, reduce da una convivenza comunitaria. Il film ha tinte malinconiche, a tratti decadenti. Il film si apre su un nero troppo nero, il buio pesto della campagna in cui vivono, squarciato dai fari dei cacciatori che vanno a disturbare la quiete della famiglia. Lo sguardo narrativo a volte corre a seguire ombre e profili intagliati dalla luce sul muro. La colonna sonora sembra assente, la dimensione musicale si riduce alla diegesi, con jingle buffi e sgradevoli della troupe televisiva che si addentra in questi luoghi sperduti per registrare le puntate del concorso “Le Meraviglie”: verrà selezionato un produttore locale e riceverà un mucchio di soldi.
Monica Bellucci nella parte di Milly Catena, la conduttrice, diventa icona della TV da due soldi, quella costruita con costumi ridicoli e dozzinali, quella che si fa circense nel suo essere kitsch (a dire il vero viene il dubbio se il suo recitare “una parte”, e male, sia voluto o le venga naturale). La figura del padre Wolfgang – l’ottimo attore belga, Sam Louwyck, che sembra perfetto in questa parte di burbero arretrato e incolto – è quella di un uomo immaturo che promette e compra un cammello in dono alle figlie, sperperando i pochi soldi racimolati col miele. Durante le riprese, vestito da etrusco con una tunica gialla di raso, sembra perdere la sua dignità e lo sguardo di Gelsomina sembra urlare imbarazzo e dolore.
Il film va proprio a indagare questa relazione padre-figlia (anche nel pingpong delle inquadrature) in cui c’è una leggera morbosità e una lieve gelosia da parte dell’uomo. Gelsomina ha due braccia forti che raccolgono api e mellificano in un ritmo stancante e claustrofobico. La madre, Angelica, un’Alba Rohrwacher che pare distratta e poco presente, è una figura marginale nella triangolazione genitori-figlia, un po’ mediatrice, un po’ polemica nell’esasperazione di una relazione coniugale troppo tesa e insoddisfacente. Nella famiglia arriva un ragazzo problematico, un bellissimo delinquentello che deve scontare una pena minorile rieducandosi nel lavoro.
È lui l’elemento disfunzionale nella relazione padre-figlia: la presenza di un altro maschio che incrinerà la serena relazione di lavoro e metterà il padre in una condizione di insofferente insicurezza.
Gelsomina rappresenta chi osa rompere gli schemi – con il coraggio di una ragazzina che si mette api in bocca e se le fa camminare dolcemente sul viso – chi osa staccarsi dal passato per cambiare e sperare in un futuro diverso. Se ce la farà non lo sapremo. Il film si chiude con un salto in avanti sulle mura spoglie del rudere familiare. A tratti troppo lento, lascia un amarognolo in bocca e una smania sottile che resta a lungo.