Tredici anni fa, nel 2001, veniva celebrata per la prima volta la Giornata Mondiale del Rifugiato. Un’occasione voluta dall’ONU per riaffermare i valori sui quali sono basati gli accordi internazionali in materia di protezione dei rifugiati. Non a caso fu scelta la data del 20 giugno, perché questo è il giorno in cui si celebra la Giornata africana del rifugiato. Non a caso fu istituita nel 2001, perché in quell’anno cadeva il 50esimo
Il tema di questa giornata è il rispetto, rispetto per gli stessi rifugiati e per i diritti contemplati nella convenzione del 1951 anniversario della Convenzione che contiene i principi fondamentali sulla protezione dei rifugiati e i diritti dei popoli costretti a esodi forzati di massa.
A distanza di tredici anni dalla sua istituzione e a 63 anni dalla Convenzione la cronaca ci racconta di un mondo dove il rispetto dei diritti, primo fra tutti quello alla vita, di coloro che fuggono dal proprio paese, è tutt’altro che un principio affermato.
Pisa si appresta a celebrare questa data ricordando di essere uno dei 418 comuni che in Italia attraverso il Progetto SPRARR “Sistema di protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati”, accolgono rifugiati politici e richiedenti protezione internazionale, il 27 giugno. La Società della Salute zona pisana e l’Arci di Pisa organizzano infatti una cena presso i circolo Arci Unità Cep, che verrà preparata da alcuni dei beneficiari del progetto SPRAR, che hanno partecipato ad un corso di formazione di cucina.
Di fronte a un “Pisa, città che integra”, titolo di iniziativa, si contrappone un “Pisa non accoglie ma isola”. “Molte sono le iniziative – scrivono Progetto Rebeldia e Africa Insieme – sia in Europa che in Italia, che in queste giornate si stanno avvicendando, dalla Carovana di rifugiati che arriverà al Parlamento Europeo proprio il 20 giugno al No Borders Train del 21 Giugno che partirà da Milano e che tenterà di realizzare finalmente un’ Europa senza confini. E mai come quest’anno non possiamo non mettere in evidenza come i diritti di chi fugge dalla guerra e dalla povertà sono in Italia sempre più negati. Questo accade anche a Pisa, con un sistema di accoglienza che in realtà è una continua violazione dei principi a cui questa dovrebbe ispirarsi”.
Ad essere sotto accusa è una condizione di “isolamento” in cui vivono “da mesi ragazzi che hanno attraversato il deserto, nel mezzo del Parco di San Rossore, o a Tombolo, tenuti a margini della città perché restino invisibili”.
“Non si avvia – proseguono – nessun reale percorso perché questi uomini e queste donne, spesso con bambini, possano avviare dei percorsi di autonomia. Nella nostra città manca qualsiasi forma di coordinamento tra gli enti pubblici, tra il comune e la provincia, tra la SDS e il Centro Nord Sud”.
Africa Insieme e Rebeldia denunciano “gravi carenze e un’assoluta mancanza di programmazione di lungo periodo, che per le vite di chi arriva da lontano, significa non avere alcuna prospettiva”.
“Pisa oggi non è una città accogliente per i profughi, Pisa è una città dove le amministrazioni pubbliche non trovano neanche strutture adeguate per accogliere ed inserire i migranti che richiedono l’asilo politico. Il tutto mentre le tempistiche per avere i permessi di soggiorno o un semplice incontro in questura si dilatano a dismisura”.
“Serve – concludono – una netta inversione di tendenza. E’ possibile uscire dall’emergenza se si assume che l’arrivo di chi fugge da violenze e persecuzioni non è una calamità ma un fatto strutturale, frutto (anche) di politiche internazionali inique perseguite dall’Italia e dall’Unione Europea (si pensi all’appoggio ai regimi dittatoriali del Nord Africa, poi rovesciati dalle insurrezioni delle primavere arabe).
Qui due posizioni si incontrano, la denuncia che da mesi cerca l’ascolto del governo nazionale: gli arrivi non sono un fenomeno emergenziale, bensì strutturale e come tali vanno gestiti. Una voce di denuncia che a Pisa si è levata subito dopo i primi arrivi di quest’anno sia dall’assessore alle politiche sociali Sandra Capuzzi che da Africa Insieme e Progetto Rebeldia.
Sono d’accordo: le strutture di accoglienza non sono adeguate. Proporrei a chi protesta (giustamente) tanto, di ospitare qualche migrante in casa propria.