Quale ruolo può avere i volontariato per il nostro patrimonio artistico? Quali sono le norme che regolano il rapporto fra professionisti dei beni culturali e volontari?
Dell’importanza di conservare il ruolo di professionisti formati, così come del volontariato gratuito abbiamo parlato con Daniela Lippi dell’associazione La Ragione del Restauro (ARR) e Marcella Giorgio presidentessa ANA Toscana (Associazione Nazionale Archeologi).
Si è parlato molto in questi mesi, dell’intesa firmata a Pisa per la creazione di una squadra di volontari specializzati, di manutenzione del patrimonio monumentale e artistico, di interventi rivolti a tutelarli dall’incuria. Proviamo a fare chiarezza.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio all’art. Articolo 29 riserva in via esclusiva ai restauratori “gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici.” Stabilendo anche che “per restauro si intende l’intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali”.
Per interventi sui Beni Culturali si intendono solamente manutenzione e restauro, termini che racchiudono tutto il complesso di operazioni manuali da svolgere per la corretta conservazione di un’opera. I decreti ministeriali 86 e 87 del 2009 contengono la descrizione di quali sono i compiti del restauratore, del collaboratore restauratore e del tecnico specializzato, nonché come si deve organizzare la formazione nel campo del restauro di Beni Culturali.
“Minuta manutenzione” viene usato nel documento, con l’intento poi spiegato di indicare operazioni come la rimozione di erbacce, la pulizia di grondaie e via dicendo. Nelle normative ne troviamo traccia?
Il termine “minuta manutenzione” non esiste a norma di legge. Caso mai, spesso, nei convegni del settore degli scorsi anni, si è parlato di minimo intervento conservativo, ma anche questo termine si presta ad errate interpretazioni. Perché l’incipit assoluto del restauratore, e di chi coadiuva o dirige l’intervento, è quello di fare il minimo indispensabile a garantire la corretta conservazione dell’opera che è un unicum, non ripetibile, e come tale deve essere trattata.
La proposta di legge in materia di professionisti competenti ad eseguire interventi sui beni culturali, approvata di recente contiene un ulteriore tassello, mi pare, rispetto alla definizione di chi può operare sul patrimonio storico artistico.
La norma di legge riguardante i professionisti per i Beni Culturali prevede che gli interventi operativi di tutela, protezione e conservazione dei beni culturali nonché quelli relativi alla valorizzazione e alla fruizione dei beni stessi, di cui ai titoli I e II della parte seconda del presente codice, siano “affidati alla responsabilità e all’attuazione, secondo le rispettive competenze, di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, restauratori di beni culturali e collaboratori restauratori di beni culturali, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell’arte, in possesso di adeguata formazione ed esperienza professionale”.
La parola valorizzare in questi anni per alcuni è diventata una sorta di sinonimo di “mettere a reddito”.
Il dizionario della lingua italiana dà questa definizione di valorizzare: dare valore ad un bene trascurato con investimenti e cure.
Le cure sarebbero demandate a tutti i professionisti del settore, come sopra citato, che in coordinamento con gli storici dell’arte e i funzionari preposti alla tutela potrebbero (e in parte lo fanno) svolgere tale compito nel migliore dei modi con adeguata programmazione di interventi come manutenzione preventiva, manutenzione ordinaria e restauro.
In mancanza di investimenti pubblici valorizzare, restaurare e fare manutenzione anche preventiva può diventare difficile…
E succede che dietro aspetti nobili come il reinserimento sociale e lavorativo, per esempio di coloro che hanno dovuto scontare una pena carceraria, si nasconda una evidente ignoranza o non considerazione della conoscenza delle disposizioni legislative in ambito dei beni culturali e del volontariato.
Col rischio di contrapposizione fra professionisti e volontari, portando anche fraintendimenti enormi nel pensare comune vista la caratteristica di impegno civile e altruismo insito nel volontariato, che d’altronde ogni libero cittadino può svolgere in svariati modi.
Ciò che va combattuto non è il volontariato e l’impegno civile, bensì l’idea che chiunque possa fare qualsiasi cosa, magari con un veloce corso e un’infarinatura generale.
Nei beni culturali ci sono invece normative precise per la collaborazione con le associazioni di volontariato?
Una situazione è quella dell’impiego di volontari nella fase emergenziale la cui gestione è della Protezione Civile. Rispetto invece ai volontari in un rapporto ordinario nell’ambito della valorizzazione la legge Ronchey del 1993 stabilisce l’assoluta sussidiarietà del volontariato nelle funzioni, perfezionato poi nell’art. 112 del codice al comma 8 dove viene specificato che possono essere formate apposite convenzioni con associazioni culturali o di volontariato che svolgono attività di promozione e diffusione della conoscenza dei beni culturali. Inoltre esiste ovviamente la legge quadro sul volontariato 266 del 1991 che si riferisce all’art.2 della Costituzione dove che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento inderogabile dei Doveri di Solidarietà politica, economica e sociale dei cittadini tutti.
Sembrerebbe dunque una griglia ben definita in cui muoversi, tra pubblica amministrazione, professionisti e organizzazioni di volontariato.
In Toscana è poi in atto un apposito studio sul tema.
Sì, con la redazione della Magna Charta, dal 2012 è in sperimentazione una collaborazione tra pubblica amministrazione e organizzazioni di volontariato, di cui recentemente si è parlato in un convegno a Milano.
Il risultato di questo convegno?
È stato ribadito che il volontario non è un professionista dei beni culturali ma un comunicatore attivo nella fruizione. È stata poi suggerita una riflessione sulla legislazione nazionale sul volontariato in quanto vi è un generale invecchiamento della legge quadro sul volontariato che risale al 1991, considerata dagli addetti ai lavori inadeguata rispetto alle esigenze sociali dell’oggi, e vi è stata la richiesta di andare verso un volontariato meno gratuito rispetto alla 266.
Parlare “di meno gratuito” di fatto si traduce in “pagato”.
La notizia mi ha allarmato. Il volontariato è per definizione gratuito. Preoccupante anche il comunicato del Sottosegretario del Mibact Ilaria Borletti Buitoni che dichiara espressamente che il volontariato “possa dare risposte ai bisogni della società di oggi in assenza di risorse pubbliche”.
Come cittadini non possiamo accettare che lo stato abdichi alle funzioni che gli sono proprie, sancite da leggi, a causa della mancanza di risorse economiche.
Il volontariato non deve entrare in concorrenza sleale con le attività professionali specifiche ma deve restare un’attività importante, sussidiaria e di solidarietà, non collegata ad occasioni surrettizie di guadagno perpetrato aggirando le normative sul lavoro e sugli affidamenti di incarichi e prestazioni.