La domenica della vita: la storia dell’arte nell’era di Twitter
di Lorenzo Carletti e Cristiano Giometti
Cominciamo con una buona notizia: la scorsa settimana a Pisa sono partiti i lavori di riparazione del tetto e di risanamento delle infiltrazioni d’acqua nella chiesa di Santa Maria della Spina. Già nel settembre scorso il monumento era stato fasciato da impalcature, senza che un cartello ne spiegasse le ragioni e, soprattutto, senza che il cantiere prendesse poi avvio. Se tutto va come deve andare, a giugno la chiesa verrà spogliata da tubi e travi di legno e tornerà finalmente visitabile. Come tenerla aperta, se cioè far leva sul volontariato o avvalersi di un dipendente comunale distaccato è ancora tutto da vedere; così come l’evidente annerimento dei marmi a circa venti anni dall’ultima pulitura è un problema che non rientra nelle attuali urgenze.
La notizia del restauro è arrivata in concomitanza con il comunicato del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo sulle capitali italiane della cultura per il 2016-2017. È una sorta di lotteria che, pur nel dissesto finanziario del dicastero dei beni culturali, vedrà alcuni giurati – esperti di chiara fama nel settore – valutare le proposte delle città candidate e quindi la premiazione delle due vincitrici, che riceveranno rispettivamente un milione di euro. Dopo aver mancato miseramente le prime selezioni per diventare capitale europea della cultura, Pisa adesso è in lizza per il “titolo nazionale” assieme ad altri 24 centri di piccola e media grandezza. Certo, per chi vive sotto la torre pendente e diffida di comunicati stampa e continui annunci degli amministratori, il dissesto è palese; tanto più stonano quei grandi cantieri Piuss ancora attivi (qualcuno in ritardo) a cui corrispondono progetti ancora molto poco definiti, a partire dal camminamento sulle mura. Detto questo e al di là dell’insensatezza dell’iniziativa ministeriale – più consona a un talent-show televisivo – sarebbe comunque stupido farsi sfuggire il finanziamento. Potrebbe dunque essere l’occasione per una vera e propria inversione di tendenza rispetto a quanto accaduto negli ultimi tempi nel campo sia della tutela che della valorizzazione del patrimonio culturale cittadino.
Perché non approfittare di questa possibilità per innescare un circuito virtuoso che, insieme alla chiesa della Spina, riporti in vita i molti – troppi – monumenti in condizioni fatiscenti? Perché non cominciare con il riaprire al più presto il Palazzo della Sapienza e la sua Biblioteca Universitaria (chiusa nel maggio 2012 “a causa” del terremoto in Emilia)? Perché non darsi da fare per rintracciare i finanziamenti, pubblici e privati, per il restauro (urgente fin dal 2010) della chiesa di San Paolo a Ripa d’Arno, ancora puntellata e da oltre tre anni, ci sia concesso, in stato d’abbandono? Perché non convocare la Soprintendenza, la curia e tutti gli enti proprietari di edifici storici in sofferenza – a cominciare dalle emergenze, di cui si è più volte parlato: Spedale dei Trovatelli, chiostro di San Francesco, Domus Mazziniana, etc. – per cercare di studiare assieme una soluzione?
Questi luoghi oggi tristemente dimenticati devono tornare al centro di un tessuto civico e culturale che li renda, com’era un tempo, mete ineludibili d’una topografia cittadina non più e non solo duomo-centrica. Questa dovrebbe essere l’aspirazione di una vera capitale della cultura, agli occhi degli esperti ministeriali ma ancor prima dei suoi stessi cittadini. Per questo sarebbe auspicabile che l’assessore alla Cultura avesse pieni poteri, dunque competenza anche sul “patrimonio” storico-artistico e monumentale, cosa che ad oggi ricade sull’assessore ai Lavori Pubblici. Inoltre, assistere in questo momento a un dibattito sullo scarso decoro dei cestini in Piazza dei Cavalieri non è certo all’altezza di una capitale, ma nemmeno di un capoluogo di provincia, che nel frattempo è stata abolita.