Estate, storie a puntate. Potevamo farci sfuggire l’occasione?
Domanda retorica, quindi, in vista della meritata e attesa pausa d’agosto, ecco quattro puntate sulla CEP ovvero la Calcolatrice Elettronica Pisana, la macchina che fa di Pisa “la culla dell’informatica italiana” e che, nella collezione del Museo degli Strumenti per il Calcolo, è il cimelio.
Le puntate seguono un senso cronologico, ma sono episodi, storie nella storia del progetto CEP.
E sono solo alcune delle tante, troppe per una sola estate
Ma andiamo in ordine e partiamo dal nome, CEP: è sbagliato.
1. Calcolatrice?
No, la CEP è un calcolatore. E non è una distinzione da poco.
Le calcolatrici eseguono operazioni, le quattro operazioni dell’aritmetica e poco più. Se c’è da risolvere un problema complesso con più operazioni da fare in ordine, con dati iniziali, risultati intermedi da conservare per le operazioni successive e altre amenità del genere, la calcolatrice è utile solo per i singoli passi. Tocca a chi la usa essere responsabile del procedimento e di solito, per non perdere il filo, si aiuta con carta e matita.
I calcolatori eseguono invece programmi. Hanno una memoria, tengono loro traccia dei dati iniziali e dei risultati intermedi, ed è già un bel vantaggio. Ma, soprattutto, usano la memoria per conservare i procedimenti, che preferiscono farsi chiamare algoritmi e che sono codificati in, appunto, programmi. Chi usa un calcolatore è libero dalla fatica di gestire il procedimento, in più la macchina è molto (parecchio) più veloce a eseguirlo e non commette errori. Non tutto è gratis: al calcolatore il procedimento tocca spiegarglielo, e in un linguaggio apposta. Insomma l’utente deve programmare, attività per la quale continua ad aiutarsi con carta e matita.
Calcolatrici e calcolatori sono tutti strumenti di calcolo, ma l’informatica come la conosciamo oggi nasce con i calcolatori: sono macchine universali e la programmabilità permette loro di fare calcoli prima inaffrontabili e che non si limitano al mondo dei numeri. Del resto, se non fosse stata capace di trattare dati qualsiasi, testi e immagini, suoni e animazioni, musica e filmati, l’informatica sarebbe rimasta confinata ai laboratori di ricerca e ai reparti contabilità.
Quindi è una bella differenza, che trova naturale riscontro anche in altre lingue: accanto ai nostri calcolatrice e calcolatore ci sono calculator and computer, calculatrice et ordinateur, Rechenmaschinen und Computer, calculadora y ordenador, 计算器 和 电脑.
Tornando alla CEP, la faccenda è imbarazzante. A Pisa, così bravi a cimentarsi per primi (in Italia) nell’impresa di progettare e costruire un calcolatore, così coraggiosi da scartare la soluzione facile di comprarlo bello e fatto all’estero come negli stessi anni fecero i colleghi dell’INAC-CNR di Roma o del Politecnico di Milano, poi che fanno… sbagliano il nome?
Tornando alla CEP, la faccenda è imbarazzante.
Beh, intanto l’errore capita solo in Italiano. Nei documenti in Inglese usavano il termine giusto “computer”. Anche il CSCE all’estero è presentato come Center of Research on Electronic Computers: corretta la sostanza, ma di fatto infedele la traduzione. Una delle poche volte in cui compare “calcolatore” è in un documento redatto nelle due lingue e forse la redazione bilingue indusse a usare il termine corretto anche in Italiano, ma è un’eccezione rispetto alla perseverante ricorrenza di “calcolatrice”.
Da un manuale dell’Olivetti Elea 9003, 1960: linguaggio commerciale, ma aggiornato.
Dal discorso inaugurale di Faedo, 1961: l’originale “calcolatrice” è mantenuto.
Una spiegazione forse c’è. All’epoca “calcolatore” esisteva ma, da tempo, era usato per definire una professione: calcolatore era l’umano che usava la calcolatrice (di genere femminile perché macchina) per eseguire calcoli. Lavoro che, per inciso, era poi soprattutto svolto da donne, specialmente nell’ambito della contabilità.
Il termine stava però assumendo il significato che lo associava alla nuova classe di strumenti per il calcolo. Il passaggio è logico: la macchina si chiama calcolatore quando diventa capace di gestire il procedimento e assumersi un ruolo che prima era umano. Così era stato in Inglese e così stava succedendo nelle varie lingue. L’Italia era in ritardo di quasi dieci anni e la transizione fu più lenta. Per i più, al tempo della CEP, calcolatore non identificava una macchina.
Così mentre con i colleghi stranieri si usava il termine corretto, in casa l’esigenza di legare il progetto a un risultato concreto da studiare, progettare e costruire, probabilmente suggerì di adottare il termine che per tutti identificava la macchina. Spiegare le differenze era complicato e con i finanziatori (come vedremo nella prossima puntata) era meglio non rischiare.
E calcolatrice fu.
Giovanni A. Cignoni
Luglio-Agosto 2014