Avevamo lasciato il prode Terry Brooks alle prese con una sudata laurea in Legge e con i molti danari risultanti dal suo primo libro. S’intravvede subito un problema per il Nostro: come estorcere ancora più soldi ai babbalèi amanti della letteratura fantastica? La genesi de Le Pietre Magiche di Shannara (1982) racconta che la bozza spedita da Terry al suo nume tutelare ed editore Lester Del Rey (vero e proprio mostro sacro del pulp e della fantascienza) viene rifiutata in toto, per finire invece a dare forma al terzo capitolo della saga.
Al suo posto troviamo le avventure del giovane Wil Ohmsford, nipote dello Shea visto nel primo libro e sua copia conforme in tutto e per tutto, secondo le esigenze della trama. Anche qui (come prima, e come poi) c’è una guerra incombente tra Bene e Male da fermare il prima possibile andando a ravanare per oggetti magici in luoghi oscuri e acquitrinosi. Anche qui i protagonisti, nella particolare concezione che Brooks ha di approfondimento psicologico (leggi: allungare il brodo), passano pagine su pagine afflitti dall’indicibile dilemma interiore in merito ai pericoli del viaggio, alla fiducia da dare o meno al tenebroso druido Allanon e al destino di parenti o semplici conoscenti. Un’ulteriore passata di correzione di bozze avrebbe giovato, visto che alla quinta volta che si legge del “viso di bambina” della comprimaria Amberle, l’istinto diventa quello di distanziarsi dal volume, facendogli eseguire una parabola nell’etere.
Non mancano però le frecce all’arco dello scrittore: dopo la quasi unanime sagra della salsiccia del libro precedente, stavolta ci sono ben due figure femminili che accompagnano il protagonista. La dolce e recalcitrante Amberle affianca la conturbante zingara Eretria in un triangolo amoroso che dura sino alla fine dell’avventura, mentre lo stesso Wil, guaritore di professione, tutto può definirsi tranne che il solito indomito spadaccino. A cavarlo dalle guazze provvedono infatti le pietre del titolo, dono di nonno Shea e indispensabile presidio dalle grinfie dei demoni che danno la caccia al trio, facendo cadaveri su cadaveri.
La vena orrorifica della ricerca del Fuoco di Sangue è sempre presente, incalzante e piacevole, mentre nelle ultime fasi di questa appaiono luoghi e personaggi pittoreschi ed originali, col paese dei tagliagole e la guerra tra streghe gemelle che si piazzano ai vertici delle invenzioni fantasy anni 70-80. Ai tempi sarebbe potuto venir fuori un bel filmone d’avventura per ragazzi, invece temo proprio che ce lo pupperemo (per chi ne ha voglia) sotto forma di serie TV. Non procederemo oltre nella saga di Shannara, perché nonostante le magagne di cui sopra siamo davanti al miglior libro di Brooks, e il mondo dei videogiochi stavolta ha teso l’orecchio.
Se infatti l’autore ha dato prova di grande zelo nel copiare Tolkien quando ha scritto La Spada, parimenti ne hanno avuto in Nintendo a prendere di peso da queste pagine la figura dell’elfo Perk. Questi appartiene ad un’etnia particolare, dedita a cavalcare pennuti giganti, e deve completare il suo addestramento di Cavaliere Alato come passaggio alla maggiore età. Esattamente come Link in The Legend of Zelda: Skyward Sword. Un plagio ancora più importante riguarda la fine della storia, e stavolta posso dirvi soltanto che la colpevole non è Nintendo, e il gioco, sempre a base di spade e magie, è uno dei più importanti della softeca Gameboy. Forse capirete la faccia che ho fatto quando ho sgamato il finale dopo il primo quinto del libro. Alla prossima!
Tommaso Mongelli
www.fandonia.net