In mancanza di interventi sociali e di prevenzione, ad oggi non programmati, sono in tanti a pensare che la polizia sia l’unica soluzione possibile
Sono pressoché tutti d’accordo i negozianti in zona stazione sull’eventualità di un presidio fisso delle forze dell’ordine con una guardiola in mezzo al viale. La proposta dell’amministrazione contro il degrado e la microcriminalità, articolata su più misure prevalentemente repressive, trova il consenso dei commercianti, che si dicono esasperati dalle liti continue. C’è anche chi nega che la situazione sia così drammatica, soprattutto chi pensa che la sola presenza della polizia non serva a risolvere i problemi dalla radice, problemi che sono di tipo sociale visto che le persone coinvolte – per la maggior parte extracomunitari senza lavoro – finiscono spesso a spacciare per vivere alla giornata. Per loro difficilmente si aprono alternative.
Ma le considerazioni sociali non fanno presa sui commercianti, di ogni età e nazionalità, che chiedono di lavorare in pace e contestano alle forze dell’ordine anche gli stessi controlli: “Quando chiamo la polizia per chiedere di intervenire su una rissa capita poi che chiedano a me i documenti”, dice Yasar Yigitap (nella foto), titolare del Bar Galleria. “L’anno scorso durante una rissa mi hanno rotto un vetro: ho dovuto pagare 450 euro e ho anche fatto denuncia. Ma nessuno mi ha risarcito”.
Shamsul Hoque gestisce uno dei tanti minimarket in Viale Gramsci, proprio accanto alla Snai. Per lui la presenza della polizia “è un bene, perché qui fuori litigano spesso e allontanano le persone dal negozio”, racconta. A lui, da quando ha aperto a marzo di quest’anno, hanno fatto molti controlli anche per l’igiene: “È normale, devono fare il loro lavoro, ma devono controllare tutti però, non solo noi stranieri”.
Mazumder Al Mahamud gestisce invece un internet point di fronte all’Hotel La Pace da ormai 12 anni. Ha anche un altro negozio analogo, nell’altra galleria di Viale Gramsci: “Anch’io voglio lavorare tranquillo e che ci sia polizia in giro mi va bene. Però bisogna smetterla di dare sempre la colpa agli altri: per esempio, chi compra i fondi in questa zona e poi li tiene chiusi secondo me contribuisce al degrado, perché è normale che di fronte a tante saracinesche abbassate si creino bivacchi e quant’altro”.
Lucia è proprietaria del Tabacchi all’angolo con la Galleria Gramsci e se la prende con le istituzioni: “Ottimo, il Comune dice che vuole intensificare i controlli e iniziano dai commercianti. Ieri (martedì, ndr) è già partita una raffica di multe. Ma il problema siamo noi o loro?”, dice, intendendo per loro “i tunisini”, ormai chiamati così da tutti anche quando tunisini non sono. Spacciatori, persone senza lavoro, extracomunitari in difficoltà: di fronte al muro contro muro le distinzioni non servono più e a prevalere è l’impulso repressivo, con il rischio concreto che il divario culturale si ampli.
Anamaria Iacob è una giovane donna rumena, dal piglio deciso e coraggioso. Da quattro anni e mezzo ha preso in gestione insieme al fratello un bar proprio di fronte alla piazza della Stazione. “Non mi dispiace affatto avere più polizia, almeno vengo al lavoro più tranquilla. Mi capita spesso di dover chiedere ad alcuni frequentatori di uscire dal locale perché discutono ad alta voce, quando non litigano. Mi domando: ma se le vedo io le stesse persone tutti i giorni a spacciare, bere e bivaccare in zona, non le vede anche la polizia?” Per Anamaria c’è un problema culturale da risolvere: “Per certe persone lo spaccio è una forma sicura e facile di guadagno. Così quando arriva il fratello, il cugino, il parente, lo si coinvolge e la catena continua. Mica gli si dice “guarda potresti andare a lavorare come muratore per qualche euro all’ora”.
La proposta del mercatino natalizio invece incontra reazioni diffidenti. Come quella di Thomas Frullini e Marco Brunetti, rispettivamente titolare e dipendente di un bar in viale Gramsci: “ci hanno provato qualche anno fa, ma i commercianti erano spaventati, soprattutto dai furti”. E torna in mente la differenza fra insicurezza reale e percezione di insicurezza, perché quando si tratta di attribuire numeri e dati ad accuse tutto diventa più fumoso. Le ordinanze anti-alcol e antibivacco sono accolte positivamente dai commercianti, “sempre che si limitino all’asporto, perché altrimenti per un bar diventa difficile vivere, con quasi 8.000 euro di Cosap“, dice Anamaria riferendosi alla tariffa per l’occupazione di suolo pubblico.
Hoassin Anwar, titolare di un negozio di oggettistica con uno sportello per l’invio di denaro, tra tutti è il più lassista: “a me non importa se c’è o non c’è la polizia – dice – basta che mi facciano lavorare”. Non la pensa così il suo amico, convinto del fatto che “quando c’è la polizia qui davanti i clienti scappano”.