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In religioso silenzio, ovvero perché il teatro può ancora dirsi vivo

in religioso silenzio - foto

Il 17 e il 18 Gennaio al Cinema Teatro Lux andrà in scena un misfatto: due giovani disoccupati dei tempi moderni verranno assoldati da una Confraternita segreta per compiere un atto assolutamente straordinario. Tito e Dodo, così si chiamano i due protagonisti dell’atto illecito, rimandando chiaramente ai presunti nomi dei ladroni crocifissi insieme a Gesù Cristo, dovranno proprio trafugare la salma del figlio di Dio in cambio di un’ingente somma di denaro. Parte proprio da qui lo spettacolo teatrale In Religioso Silenzio del Circo della Fogna, dal punto in cui i due amici si ritrovano in un momento di grande tensione e di transizione tra un passato precario, difficile e fatto di sotterfugi necessari alla sopravvivenza e il sogno impossibile che sembra proprio a un passo da loro: diventare improvvisamente ricchi, dire addio alle difficoltà di una vita passata e crudele e finalmente incontrare la speranza dell’emancipazione.
Ma Tito e Dodo sono due cosiddetti disoccupati cronici, in preda a uno stato di assopimento e torpore, due inetti di oggi che, nel momento in cui si ritrovano a dover compiere l’azione che gli è stata richiesta, si fanno sopraffare da paure concrete e materiali: il cattivo odore, il buio nel cimitero e tutte quelle piccole ansie che li rende sostanzialmente umani. Il problema sorge però quando, aprendo il sepolcro, i due si accorgono che lì non c’è nessun corpo. Cosa fare? Mentire? Scappare? O addirittura farla finita e impiccarsi?

La resurrezione,l’episodio più rivoluzionario della religione cattolica e del pensiero del mondo occidentale: la visione dei fatti è prettamente laica, ma non viene meno il fascino del mistero

A raccontare, interpretare e riscrivere la storia sono Alberto Ierardi e Giorgio Vierda, il duo che compone il Circo della Fogna e che in anteprima nazionale porta a Pisa quella che è la seconda produzione originale dei due artisti. Gli attori non solo vestono i panni di Tito e Dodo, scapestrati e sfortunati protagonisti, ma incarnano il ruolo di due spiriti del teatro che rievocheranno e reinterpreteranno la storia per gli spettatori. Una cornice dentro una cornice, teatro nel teatro appunto. E tutto questo è chiaramente reso possibile dalla conoscenza e dalla notorietà del nucleo centrale dello spettacolo, ovvero la resurrezione. Il fatto “epico”, l’episodio più rivoluzionario della religione cattolica e del pensiero del mondo occidentale, è portato in scena come fatto centrale ma attorno al quale la storia dei due protagonisti non può che semplicemente ruotare. La visione dei fatti è prettamente laica, ma non viene meno il fascino del mistero che un momento così straordinario possiede intrinsecamente. Il mistero, appunto, ciò che non può e non si riesce a scoprire, ma che nonostante tutto ha trasformato e ribaltato e rivoluzionato – volontariamente o involontariamente – molti aspetti della cultura occidentale. Quel mistero che oggi sembra essere scomparso: cosa succederebbe, si interrogano Alberto e Giorgio, se un fatto così dibattuto come quello della resurrezione (è realmente successo o è tutta una messa in scena?) fosse avvenuto oggi? Cosa sarebbe rimasto di quell’intangibilità che rende affascinante ciò che è difficile da definire, proprio adesso che tutto è scoperto e scopribile?

 

Dall’antica Grecia recuperano anche la concezione del teatro in sé e per sé che per i due attori è un vero e proprio rito collettivo, un momento di condivisione, di creazione di quella tensione esplosiva e travolgente tra chi assiste e chi interpreta[quote

Ma l’evento della resurrezione è soprattutto la storia nota che viene riscritta e reinterpretata, ciò che dà la possibilità dunque ai due artisti di recuperare il significato primigenio del teatro, le sue funzioni e le sue peculiarità. Alberto e Giorgio, infatti, riprendono dall’antico teatro greco la tendenza a partire da un fatto conosciuto dai più per poter creare un confronto con le tematiche fondamentali del proprio tempo. Come il mito del denaro, ad esempio, su cui si basano tutte le azioni di Tito e Dodo. E dall’antica Grecia recuperano anche la concezione del teatro in sé e per sé che per i due attori è un vero e proprio rito collettivo, un momento di condivisione, di creazione di quella tensione esplosiva e travolgente tra chi assiste e chi interpreta. È il momento in cui ci si lascia andare alle proprie emozioni e si esorcizzano le paure; ci si prende del tempo per riunirsi e adattarsi a tempi e modi lenti: concetti quasi fuori luogo oggi che il mondo corre così velocemente. Eppure necessari, perché il teatro appartiene al nostro patrimonio culturale e genetico, crea un tessuto emotivo e di condivisione che invece lo spettacolo non è detto che abbia, come spiegano con entusiasmo Alberto e Giorgio.

Se infatti, è lo spettacolo live a dover fare i conti con una serie di problematiche legate alle sue forme sempre identiche a se stesse da anni, a doversi confrontare con la straordinarietà e la velocità di nuovi mezzi, il concetto di teatro non morirà mai: è un bisogno, una necessità, è la storia che ci portiamo dietro e continuiamo a raccontare; e proprio su una continua ricerca di nuove forme, di nuovi modi per rendere tutto questo più interessante per la comunità si basa gran parte del lavoro del Circo della Fogna. Oltre che, chiaramente, quell’essere sempre alla ricerca di ciò che rende il teatro eterno: “Dovremmo sentire sempre l’esigenza di riunirci e vedere le storie davanti ai nostri occhi”, mi dicono i due attori senza accorgersi che quell’entusiasmo, quelle conoscenze e quella passione di riportare il teatro al suo significato primigenio non sono solo “tentativi” come preferiscono chiamarli loro, ma sono prove di un mestiere fatto di impegno, fatiche e convinzioni; sono la spinta giusta che riporta a galla la voglia di prendersi del tempo per sé e per gli altri, di condividere le proprie emozioni in un unico luogo e abbandonarsi ad esse e a quella straordinaria tensione emotiva, che solo il teatro riesce realmente a creare.

Alessandra Vescio

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Pubblicato il: 14 gennaio 2015

Argomenti: Pisa, Teatro

Visto da: 1134 persone

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