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Molto male. L’arte di Tommaso Santucci dalle letterine alle gallerie milanesi

santucci

All’inizio erano le letterine. Disegnate a bomboletta sui muri di Pisanova. Poi accanto alle letterine è comparsa una scritta, molto male. Due parole che per Tommaso Santucci sono diventate una sorta di marchio, tanto che qualcuno la scambia per una firma. “In realtà non è sempre tutto molto male. La vita è bella, le giornate a volte sono merdose e io amo parlare dei problemi” ci spiega mostrandoci i lavori appesi al muro della sua casa/studio. Tommaso, classe 1981, fino a pochi anni fa batterista della reggae band Working Vibes, oggi espone le sue opere in diverse gallerie italiane ed estere. Tele e pannelli riempiti di scritte e disegni, composizioni con materiali di recupero che i collezionisti fanno a gara a portarsi a casa. Nei tre mesi dell’estate 2014 alla galleria Gour e Beneforti di Bastia ha venduto opere per quasi 40mila euro. Siamo andati a trovarlo nel suo appartamento di villa l’Ammiraglio, a Metato, ci ha raccontato di quando ha cominciato a riempire la sua scrivania di pezzi di scotch e perché non gli piace essere chiamato artista.

Tommaso, tutto è cominciato con i graffiti? 

Dal 2000 facevo un po’ di writing, poi mi è presa la fissa delle letterine. Non mi piaceva molto quello che disegnavo sul muro, quindi ho cominciato a scrivere brevi frasi accompagnate da una letterina, come “Molto male” o “Aiutami”. Erano cose che scrivevo già, prima sulla carta e poi direttamente sulla mia scrivania, ricoprendola di strisce di scotch di carta interamente scritte a penna Bic nera. Quando non ho più avuto spazio sulla scrivania sono passato a fare la stessa cosa su vecchie mensole, più o meno nel novembre 2005.

A me non piacciono i discorsi sulla cosa, mi piace la cosa. Quello del ragionare è un momento, poi c’è il fare

E poi?

Poi ho esposto un paio di lavori in via delle Sette Volte a Pisa, una persona che lavora alla facoltà di Beni Culturali li ha visti e mi ha consigliato di presentarmi ad un concorso. Io l’ho fatto e ho vinto. Quando li ha visti un dirigente dell’ufficio cultura del Comune di Pisa mi ha convinto a partecipare alla Biennale di Pisa del 2007, che ho vinto. Così nel 2008 sono stato selezionato per la Biennale d’arte europea.

Da queste affermazioni all’approdo alle gallerie d’arte il passo è stato breve..

Sì, nel 2010 ho conosciuto una ragazza corsa che lavora come architetto a Pisa. Aveva visto dei pannelli che avevo realizzato sotto i Banchi e firmato con il mio indirizzo mail. Mi ha contattato e convinto a vendergli due piccoli lavori. Quando è tornata a Bastia li ha mostrati a Patrick Gour, poi è diventato il mio primo gallerista. Da quel momento ho cominciato subito a vendere. Nel giugno 2011 ho allestito la prima vera mostra personale, 16mila euro di venduto. Nel febbraio 2012 mia madre mi ha segnalato Affordable Art Fair, che tratta opere fino a 5.000 euro, la mia fascia. Mi sono presentato con una serie di Dvd con le foto dei miei lavori. Ne ho distribuiti un po’ e dopo qualche tempo vengo contattato da diverse gallerie. Oggi i miei lavori sono esposti nella galleria Art For Interior Gallery di Carlo Polvara a Milano, il Lepre di Piacenza, il Basilisco di Genova, la galleria Sestante di Lugano, l’Altrove di Ferrara e Arte a colori di Colle Val d’Elsa.

Come funziona con le gallerie?

Io faccio il prezzo, poi la galleria trattiene la percentuale. Quando qualcuno viene direttamente a casa mia faccio gli stessi prezzi. È un fatto di rispetto per il lavoro dei galleristi. Sono persone che stimo e con le quali lavoro bene. Io in questo modo posso concentrarmi sul mio lavoro e frequentare meno aperitivi e appuntamenti vari, perché non ne ho voglia.

Oggi riesci a campare del tuo lavoro?

Non so bene nemmeno io come, ma dal 2012 riesco a mantenermi facendo una cosa che mi piace e che mi permette di organizzarmi il tempo come preferisco. Anche se poi non faccio davvero altro che stare dietro al mio lavoro. Produco costantemente e questo a volte mi crea dei problemi nei rapporti con le persone. È l’urgenza del fare. Non ha senso chiedermi “quando avrai finito”, non so nemmeno quando inizierò, non mi rompete i coglioni che ci penso già da solo.

Dal 2005 ad oggi come si è evoluta la tua tecnica?

Quando ho cominciato usavo esclusivamente bic nera su scotch di carta a riempire spazi vuoti, qualcuno parlava di horror vacui. Adesso lo  scotch invece di incollarlo sulle tavole di legno lo inserisco in composizioni fatte da materiali di recupero: plexiglas, lamiera, resine, letterine fatte con il legno. Tutto nasce sempre dallo scritto, se non scrivessi non ci sarebbe niente. Ma mi piace sperimentare, come con i pannelli ricoperti di vecchi quaderni e fogli di carta sui quali scrivo e disegno, oppure grandi tele ad acrilico che mi hanno detto ricordano Basquiat. E poi sperimento anche dal punto di vista del tratto.

Ma è vero che non sai disegnare?

Non so, nessuno mi ha mai insegnato a disegnare e non mi ci sono mai messo. Mi muovo all’interno di un alfabeto che mi sono creato. Una volta alle materne dovevamo disegnare una casa e una maestra passando mi disse che la mia era brutta. Quando è tornata l’avevo coperta di rosso ed è stata la prima volta che hanno chiamato i miei per dire che c’era un problema. Non ho più disegnato fino al 2005, e con i professori di arte tra medie e liceo non ho mai avuto un ottimo rapporto.

Mi sembra di capire che il mondo che gravita intorno all’arte non ti interessi più di tanto…

L’anno scorso ho fatto una mostra a Arezzo. Tutti quelli che esponevano insieme a me venivano dall’accademia. Siamo stati una settimana insieme, mi chiedevano della “mia ricerca”. La mia ricerca è che devo trovare la voglia di alzarmi la mattina, di stare bene e di far star bene chi mi sta attorno. A me non piacciono i discorsi sulla cosa, mi piace la cosa. Quello del ragionare è un momento, poi c’è il fare. Non so se quello che faccio è arte. Forse lo era qualche anno fa, quando creavo senza pensare a nulla di quello che c’è intorno. Adesso penso all’organizzazione, alle esposizioni, dietro c’è sempre un pensiero più strutturato. Non mi definisco un artista, per me sentirsi un artista vuol dire non esserlo. Io lo faccio non lo sono. Cerco di essere onesto e di andare sempre alla “ricerca della verità”. Cerco di mettere la vita vera dentro i miei lavori, il sangue e lo stomaco, e credo che sia questo che arriva alla fine.

Non ti viene mai voglia di tornare a disegnare sul muro?

Sì, ma dovrei crearmi un alter ego, perché è illegale, e quindi rinunciare alla mia identità. E io sono molto attaccato al fatto che una cosa sia considerata mia, anche se poi il mio nome non compare mai direttamente sui miei lavori, perché non sono mai riuscito a trovare una firma efficace. Non ho ancora trovato una maniera convincente per metterla frontalmente, in  compenso ho un mio timbro e timbro e firmo i lavori sul retro o di lato.

www.tommasosantucci.it

 foto di Giacomo Bartolini  

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Pubblicato il: 9 novembre 2014

Argomenti: Cultura, Disegni, Pisa

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