Per ascoltare la musica cosidetta classica, termine peraltro sbagliato e fuorviante dato che il “classico” all’interno della nostra storia musicale passata rappresenta un periodo culturale ben preciso che si colloca a grandi linee tra la fine del barocco e la nascita del romanticismo, è necessaria prima di tutto una buona dose di immaginazione.
Immaginare: entrare fisicamente in una dimensione umana comune fino a relativamente poco tempo fa, e comune a tutti gli aspetti della vita per molti secoli indietro. Cercare di calarsi in un mondo che è stato a lungo senza l’abituale uso di Internet, senza i grandi media di comunicazione di massa, senza mezzi di trasporto evoluti, senza televisione e nel caso specifico della musica senza supporti per la registrazione ed il conseguente riascolto.
Pensateci bene. Al di là di tutte le considerazioni che si possono fare sulla velocità di spostamento di uomini e merci che ci sono familiari ed il relativo scambio di informazioni e culture a livello mondiale in tempo pressoché reale, per ascoltare della musica era condizione essenziale essere presenti nel tempo e nel luogo dove essa veniva eseguita o, naturalmente, suonarla di persona.
Ed è stato così per centinaia e centiania di anni. Altra speculazione si potrebbe fare dividendo la storia in due grandi periodi, pre e post elettricità, perché se da un lato la nostra esperienza di ascoltatori è abituata all’amplificazione e alla produzione del suono da parte di macchine più o meno elettroniche, c’è stato un periodo (ad ora ben più lungo del restante nostro) in cui la voce degli strumenti musicali era legata esclusivamente alla loro emissione diretta. Quel che essenzialmente cambia in questo scenario è la nostra fruizione ed è un cambio di punto di vista fondamentale. Altra considerazione ancora: più indietro si va nel tempo e più la nostra coscienza collettiva di tipo laico diviene labile.
Pare impossibile infatti slegare la produzione musicale ad esempio di un Johann Sebastian Bach da una concezione totalizzante della vita sotto l’aspetto religioso, anche nel caso del repertorio puramente profano e cameristico. Basti pensare all’attacco del preludio alla terza suite per violoncello solo: una vera e propria messa in scena della discesa di Gesù Cristo sulla nostra terra.
Dunque Bach.
Al contrario del suo alter-ego mainstream Georg Friedrich Händel, rimase relativamente lontano dai grandi palcoscenici in vita, conosciuto e stimato perlopiù da quelli che oggi chiameremo tecnici del settore. Parafrasando Alberto Basso, “il più grande dei figli di quel tempo è anche il meno noto e il suo messaggio, fra memoria e profezia, non fu letto se non da pochi”.
Fra memoria e profezia: Bach è così importante perché si trova ad essere al centro esatto di quello spartiacque che separa, per usare l’accetta, il mondo antico da quello moderno e ne sintetizza in pieno i valori ed i significati.
Come forma musicale, tra la fine del ‘500 e la metà del ‘700, l’Oratorio intraprese un duplice percorso di diffusione. Nato come corollario musicale di una sostanziale pratica di preghiera divenne, influenzato dai modi nascenti che si andavano diffondendo nel teatro musicale, l’equivalente sacro del melodramma profano, una forma di “entertainment” popolare (e non) come l’Opera più tardi e il cinema, o la telenovela, dei nostri giorni.