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DiSbieqo Storie pazzesche

Storie-pazzesche

di Damian Szifron (2014)

STORIE-PAZZESCHE1Il nuovo cinema argentino ci piace assai. Sarà che questa frizzante “commedia all’italiana”, produzione argentino-spagnola, di italiano ha ben poco. Prodotto con lungimiranza da Pedro Almodovar – ne esalta in modo molto fresco la satira giovanile – oltre a far divertire in modo naturale e genuino, il film lascia l’amaro della riflessione post uscita, di quelle da decantare. La regia, contaminata elegantemente da echi di tarantiniana memoria, tocca molti generi, dalla commedia al dramma, dal gangster al sociale. C’è un virtuosismo di sguardo che solo un buon regista può cercare, sia per la geniale scelta dei titoli di testa – bellissimi primi piani di animali selvaggi, eco della bestialità dell’umanità ferita – che per le acrobatiche riprese da “dietro lo schermo” – bancomat, cappelliera, armadietto, tenda ­ controcampi in cui la macchina da presa si mostra, sofisticata, e ci fa sentire tutta la sua presenza e anche la sua maestria (molte inquadrature a piombo sono bellissime).

La storia è una, gli episodi sono sei. Al centro l’essere umano con le sue frustrazioni, i suoi assilli, le sue paranoie, le sue debolezze; e se questo essere umano decidesse un giorno di sovvertire l’ordine naturale delle cose e sconvolgesse la routine anonima e soffocante in un caos vivo, violento, colorato e vibrante? Ecco quello che la storia ci mostra: uno specchio di trasformazioni che hanno in comune l’esplosione della vivacità della vita, l’essere finalmente fuori dal sé, rivoltati e ribelli contro tutti e tutto – come nemici da annientare – e poco importa se si scade nel trash-splatter, se il sangue scorre, se la violenza esalta; tutto fa comunque andare nella direzione giusta, nella catarsi implosiva di un’esplosione ricercata con veemenza.

 

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Poco importa se il personaggio psicotico che nessuno ci mostrerà mai del primo episodio rappresenta metà degli esseri umani medi, falliti da sempre, sin da giovani, vecchi dentro, che raccolgono sconfitte, umiliazioni e perdite, e con lui ci esaltiamo per la logica della vendetta calcolata e studiata nella sua lucida follia. E la storia va avanti e si trasforma nelle figure delle due protagoniste (un’eccellente Rita Cortese espressiva e magnifica) dell’episodio del fast food: chi non vorrebbe trovarsi nella possibilità di vendicare tutte le vittime della mafia e della sopraffazione?

 

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E così, avanti, nelle gag dei due automobilisti, due mondi sociali-culturali-umani diversi che convergono nell’animalità più abietta; nella vendetta di uno stressato Ricardo Darin che incarna il desiderio universale di liberarsi con violenza della burocrazia e dell’ingiustizia; fino alla corruzione attraverso il denaro per insabbiare la verità di un brutto incidente (arroganza e vigliaccheria, non si sa cosa più disturbi nell’episodio); e, infine, l’ultimo amaro e ansioso episodio del film, che chiude il cerchio (notevole l’interpretazione di Érica Rivas), puzzle dello scontato mondo del consumismo matrimoniale e della falsità delle relazioni familiari, eros e thanatos della coppia.

 

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Ottima la scelta della colonna sonora ed efficace la scrittura dello stesso Szifron che conosce la sua direzione, sa quel che vuol dire. La critica alla società e alla sue relazioni disfunzionali, nel mondo borghese in cui debordano le contraddizioni, è tagliente e acuta: è la vendetta il filo rosso della storia, l’espulsione del boccone amaro che tutti noi, in più occasioni, dobbiamo rispingere giù e che invece, qui, esce con le sue inevitabili conseguenze.

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Pubblicato il: 14 dicembre 2014

Argomenti: Cinema, DiSbieqo, Quaderni

Visto da: 855 persone

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