Quando piove, si sa, il traffico tende a rallentare. Gli automobilisti di colpo si scordano che pure con la pioggia il volante è tondo, le marce sono sempre cinque più la retro e quelle strane cose intermittenti sono frecce. Anche i pedoni subiscono questa battuta d’arresto (cerebrale): d’improvviso i marciapiedi non esistono più, le strade sono fatte per tuffarcisi in corsa e l’ombrello somiglia sempre più a uno sfollagente da black block.
In tutto ciò, perché mai il Pendolare dovrebbe essere da meno?
Nel periodo tra novembre e marzo, Esso vive in una condizione di costante allerta. Ogni mattina esce di casa e guarda il cielo come un vecchio nostromo guarda l’orizzonte sperando di cogliere il guizzo di un banco di tonni. Mani sui fianchi nella posa nota fin dai tempi di Giulio Cesare come “Aho, ma che t’hanno rubbato i cocommeri?”, annusa l’aria, tossisce e scuote la testa. Perché sì, moglie mia, oggi mette pioggia.
– Oddio no! Cosa dirò ai bambini?
– Di’ loro che papà se n’è andato combattendo con onore un nemico più forte di lui.
– Smettila, non fare l’eroe, resta qui, rimani, nessuno si accorgerà di niente!
– Ma per chi mi hai preso, donna? Io sono un uomo d’onore.
– E allora va’, reca lustro al nome della tua famiglia. Ma prima lascia che ti dia l’ultimo regalo che mio nonno fece a mio padre e che mio padre passò a me. È il simbolo della nostra stirpe, ti proteggerà. Non toglierlo finché non sei all’asciutto.
– Ma che è?
– I popoli di tutto il mondo lo chiamano con vari nomi: Chiuèi. Keyway. Kiwi. Chiè. Kiuy. Ora va’, Pendolare, e torna con il tuo Cappauèi, o sopra di esso.
E così, marciano. Col Kiuèi, marciano. Con la morte nel cuore e l’umido nell’anca, marciano.
Per la gloria, per la patria, per lo stipendio, marciano.
Nessuno si volta indietro, anche perché sennò è un volo scivolare e perdere minuti preziosi. Non deve esserci nessuno sgarro, niente deve andare storto. Sono nati per fare questo. Sono stati selezionati per fare questo. Da piccolo, ogni pendolare viene sottoposto al temibile giudizio degli Anziani (solitamente vecchi controllori in pensione o allenatori olimpici dei cento metri piani). Se il neonato è reputato inadatto al Pendolaresimo, gli Anziani danno atto a un rito ferino e crudele: lo gettano sul seggiolino posteriore della station wagon. Altrimenti, il piccolo è sottratto alla famiglia dall’età di sette anni e addestrato a correre con tracolle rotte, scarpe bucate e senza biglietto. Chi sopravvive, è pronto.
E così fronteggiano la pioggia con onore, senza fermarsi. Solo una pausa è concessa, e generalmente il luogo deputato è il baretto a metà strada, l’unico baretto a metà strada. In questo crocevia si riuniscono i pendolari, desiderosi di rifocillarsi prima di riprendere la marcia sotto la furia degli elementi, e a volte un’etnia di pappemolli, agghindati e ben vestiti come femminucce: gli automobilisti. Questo popolino usa macchine comode e riscaldate, parcheggia davanti alla porta dell’ufficio e indossa scarpe sempre pulite. Ma talvolta il Fato punisce anche loro con guasti improvvisi che li costringono a usare quelli che loro chiamano “mezzi alternativi”. Non si rendono conto di essere nella fossa dei leoni. Cioè, vabbè diciamocelo, nella grotta dei gattini bagnati zuppi fino alle ossa, ma come vedremo è lo spirito che conta.
Quando entrano i pendolari fradici, scavati e abbrutiti, gli automobilisti in completi neri muniti di maxi ombrelloni neri portati da schiavetti neri lanciano uno sguardo ironico in direzione degli scarponi da trekking spugnosi e dei Chiui ridotti a una pozza di acqua e plastica ambulante.
E’ a questo punto che, come accennavo, viene fuori il vero spirito guerriero.
Il capo dei Pendolari, scelto in base all’estensione della bronchite contratta nel tragitto casa-baretto, si soffia il naso, scatarra e prende la parola.
– AutoBobilisDa, qual è il tuo Bestiere?
– Il commercialista.
– E Du, autoBobilisDa, qual è il tuo Bestiere?
– Il consigliere regionale.
– E Du?
– Il cardiologo.
– PENDOLARI!, qual è il vosDro Bestiere?
– ETCIÙ! ETCIÙ! ETCIÙ! ETCIÙ! ETCIÙ!
Non sarà la guerra, ma una battaglia è vinta.
E di nuovo marciano. Fino alla stazione, marciano.
Un manipolo di umani e materiali da gettare nel vetro-plastica emerge dalla cortina d’acqua. Sono preceduti dalla loro fama. E dallo splichsploch degli scarponi da trekking che ora li zavorrano come se ai piedi avessero delle gondole. Ma non si fermano. Marciano.
Arrivano al binario.
E scoprono che per colpa della pioggia tutti i treni sono in ritardo e lì, sulla banchina, sostano altri Pendolari che come loro si sono fatti chilometri e chilometri sotto secchiate d’acqua.
La battaglia è imminente. Ogni Re parla al proprio esercito.
– PENDOLARI!, Doi DoD ci ritiriaBo! CoBBatereBo e BorireBo, Ba DoD ci arreDDiaBo!
– Sì, SIRE!
– Questa è la legge dei Pendolari!
– Sì, SIRE!
– PENDOLARI!, preparate uDo spuntiDo abboDDante, perché staDotte ceDereBo Della sala d’attesa!
– ETCIÙ! ETCIÙ! ETCIÙ! ETCIÙ! ETCIÙ!
Per l’onore, per lo stipendio, aspettano.
Fuori il nubifragio.
Nel cuore, il calore della vittoria.
Alessia R. Terrusi