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Siamo quello che mangiamo L’olio di palma

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L’olio  di palma è un ingrediente presente nella maggior parte di biscotti, merendine creme, e prodotti da forno industriali.
Si ottiene dalla spremitura dei frutti della palma Elaeis guineensis. Si tratta di un olio di colore rosso acceso per l’elevato contenuto di carotenoidi ampiamente utilizzato nei paesi in cui la palma viene coltivata (Africa, Asia e America centro-meridionale). Questo olio però non si usa nei paesi occidentali, dato che pur essendo liquido come l’olio di oliva è meno stabile, tende a irrancidire facilmente ed quindi meno commerciabile, inoltre rende rosse le pietanze in cui viene utilizzato, cosa non gradita ai consumatori occidentali.

Per questo motivo l’olio di palma impiegato dall’industria alimentare è sempre raffinato e si presenta incolore, inodore e insapore. Il processo di raffinazione separa l’olio in due frazioni, una solida dall’aspetto “burroso” ricca di acido palmitico, e una liquida, ricca di acido oleico. La presenza delle due frazioni (solida e liquida) sono il motivo del suo successo nell’industria alimentare: la frazione liquida è molto resistente all’ossidazione e quindi sopporta bene le temperature elevate senza degradarsi. Per questo motivo è utilizzata per la frittura delle patatine e dei dolci. Anche molte miscele di olio per friggere in vendita sugli scaffali dei supermercati contengono olio di palma, da solo o in combinazione con altri oli vegetali. La frazione solida è a tutti gli effetti un grasso più o meno “morbido” e dunque più o meno cremoso, a seconda del numero di cicli di frazionamento e di altre trasformazioni a cui è stata sottoposta e viene utilizzata come surrogato del burro di cacao e nelle creme spalmabili; la Nutella è da sempre preparata con grasso di palma, i biscotti Mulino Bianco contengono come materia grassa principale il grasso di palma, così come la stragrande maggioranza delle merendine e tanti prodotti fritti. Le creme a base di olio di palma risultano particolarmente facili da stendere e questo piace molto ai consumatori. Grazie a queste caratteristiche, l’olio di palma ha conquistato nell’industria alimentare un ruolo di protagonista assoluto togliendo spazio ai grassi di origine animale, come burro e strutto, al burro di cacao e alle margarine: il problema principale delle margarine costituite da olio di mais, girasole, soia colza ecc. era legato al processo di idrogenazione che permetteva di solidificare l’olio ma causa la produzione dei cosiddetti acidi grassi trans, ritenuti tra i maggiori responsabili di un aumento del rischio cardiovascolare.

Ma quanto costa l’olio di palma in termini di sostenibilità ambientale e salute?

Le estese coltivazioni di palme da olio contribuiscono enormemente all’aumento dell’anidride carbonica, alla distruzione della biodiversità e delle colture locali, e sono responsabili del depauperamento dei terreni e dello sfruttamento di chi li lavora. Per far posto a queste coltivazioni in molti paesi dell’area tropicale, si radono al suolo milioni di ettari di foresta. Inoltre vanno considerate le conseguenze delle coltivazioni di palma da olio sui corsi d’acqua: in uno studio pubblicato sul Journal of Geophysical Research: Biogeosciences, Lisa Curran e altri colleghi hanno analizzato i corsi d’acqua vicini alle piantagioni nei pressi dei confini del parco nazionale Gunung Palung nel Borneo indonesiano, tra il 2009 e il 2012. I ricercatori hanno scoperto che l’acqua era in media più calda di 4 gradi centigradi rispetto a quelle delle zone non confinanti con le palme, conteneva una quantità di sedimenti fino a 550 volte quella normale e – dato giudicato molto allarmante – presentava variazioni molto brusche del del suo consumo di ossigeno – soprattutto durante la stagione secca.

Secondo i ricercatori californiani, i danni a tutto l’ecosistema si estendono potenzialmente a molti chilometri dalle aree coltivate, proprio perché interessano l’acqua, e rischiano di causare gravissimi problemi di approvvigionamento alle popolazioni locali e, su scala più ampia, di aggravare il problema della scarsità di acqua potabile. Non solo: uno scadimento della qualità delle acque avrebbe effetti anche sulle barriere coralline alle foci dei fiumi, sulle popolazioni ittiche e in generale su tutto l’ecosistema e le economie locali. Per questi motivi, dal 2004 i produttori e gli utilizzatori industriali di olio di palma hanno fondato una Ong internazionale “Roundtable on sustainable palm oil” (Rspo) per promuovere l’uso di corrette pratiche agricole, garantire la sostenibilità ambientale e tutelare i diritti delle comunità indigene. Le certificazioni Rspo sono varie e non devono essere confusetra loro, perché hanno significati diversi.

Nel 2009 il Wwf ha pubblicato una classifica degli utilizzatori di olio di palma, accusando alcuni gruppi della grande distribuzione organizzata di acquistare quote marginali di olio “sostenibile”. Il documento citava gli esempi positivi e gli impegni assunti da alcuni gruppi industriali per dimostrare che è possibile e doveroso agire per garantire la provenienza della materia prima da filiere controllate ed ecologiche.
Alla distruzione delle foreste indonesiane è stato dedicato un film documentario “Green the Film”, purtroppo privo di lieto fine, una conclusione alla quale sembrerebbe impossibile riuscire a porre rimedio, se agli interessi delle industrie che impiegano olio di palma non viene sostituita una sincera preoccupazione per le sorti del Pianeta.

Per ciò che riguarda la salute dei consumatori, l’olio di palma viene additato come responsabile dell’aumento dei rischi cardiovascolari, a causa del suo elevato contenuto di acidi grassi saturi.
Le autorità sanitarie internazionali affermano che l’olio di palma aumenta i fattori di rischio cardiovascolare, citando ricerche e meta-analisi. Da molti anni, è stato accertato che i principali acidi grassi che alzano il livello di colesterolo, aumentando i rischi di coronaropatia, sono gli acidi grassi saturi con 12 (acido laurico), 14 (acido miristico) e 16 (acido palmitico) atomi di carbonio.  L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) afferma che ci sono prove convincenti che il consumo di olio palmitico contribuisce a un maggiore rischio di malattie cardiovascolari. Ricerche statunitensi ed europee confermano lo studio dell’OMS. In risposta allo studio dell’OMS, il Comitato di promozione dell’olio di palma malese (Malaysian Palm Oil Promotion Council) ha sostenuto che non ci sono prove scientifiche sufficienti per elaborare linee guida globali sul consumo di olio di palma, e ha citato uno studio cinese che avendo comparato lardo, olio di palma, olio di soia e olio di arachidi, i primi due con un alto contenuto di grassi saturi e generalmente considerati poco salutari, sostiene che l’olio di palma aumenta il livello di colesterolo “buono” (HDL) e riduce il colesterolo “cattivo” (LDL), e che l’olio di palma è meglio dei grassi trans, grassi che (nei paesi dove non sono regolamentati) sarebbero comunemente scelti come suoi sostituti in diverse produzioni alimentari. Queste affermazioni sono sostenute da uno studio precedente su vari olii e salute cardiovascolare. Tuttavia uno studio del dipartimento di Scienza e Medicina agricola, alimentare e nutrizionale dell’Università dell’Alberta ha mostrato che sebbene l’acido palmitico non abbia effetti ipercolesterolemici qualora l’assunzione di acido linoleico sia superiore al 4,5 % dell’energia, se la dieta contiene acidi grassi trans allora il colesterolo “cattivo” aumenta e il colesterolo “buono” diminuisce.
Inoltre, gli studi a sostegno del Comitato di promozione dell’olio di palma malese considerano il problema degli effetti dell’olio di palma unicamente sulla colesterolemia, in parte sui trigliceridi e non i suoi effetti complessivi sulla salute.

L’industria dell’olio di palma sottolinea che gli oli di palma contengano grandi quantità di acido oleico (nonostante sia un componente minoritario, mentre l’acido oleico rappresenta il 55 – 83% dell’olio di oliva), l’acido grasso salutare contenuto anche nell’olio di oliva e nell’olio di canola e, in contrapposizione a quanto noto in medicina e dietetica, sostiene che l’acido palmitico influisce sui livelli di colesterolo in modo molto simile all’acido oleico, ed inoltre che gli acidi monoinsaturi come l’acido oleico sono tanto efficaci quanto gli acidi grassi polinsaturi (come l’acido alfa-linoleico) nel ridurre il livello di colesterolo “cattivo”.
In ogni caso, dal dicembre 2014 le aziende non potranno più indicare sulle etichette la dicitura “olii vegetali”, ma, per regolamento europeo, dovranno indicare di che olio si tratta, per cui toccherà a noi tenerci informati per decidere chi ha ragione….

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Scritto da:

Pubblicato il: 12 luglio 2014

Argomenti: Alimentazione, InQuadriamo il diritto, Quaderni

Visto da: 1110 persone

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Una risposta a: Siamo quello che mangiamo L’olio di palma

  1. avatar Alice scrive:

    L’olio di palma non è per niente salutare, è costituito per circa il 50% da grassi saturi, responsabili dell’aumento del colesterolo cattivo, il principale responsabile delle malattie cardiovascolari. Oltre ciò, il processo di lavorazione dell’olio di palma, che viene portato a circa 120 gradi centigradi, lo rende potenzialmente cancerogeno

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